11 ottobre 2005

L'arciere di Lucrezio

Un sms di una mia amica, qualche giorno fa. "Tu credi che esista per sempre?". Bella domanda. In realtà non so se esista, ma non posso fare a meno di crederci. Sono un ammalato del per sempre. E' grave, incurabile. In un mondo dove la filosofia del consumo ha il sopravvento anche sui sentimenti è difficile credere che per sempre sia applicabile alla realtà. Forse per sempre è un pensiero da sognatori, gente che vive tra le nuvole. Ed io tra le nuvole sto, sarà per questo che ho sempre un po' di tosse.

Non che chi non ci crede sia peggio di me, anzi, gode di molti vantaggi nella vita pratica: si accontenta delle piccole cose, sa cambiare via velocemente, riconosce che la perfezione non esiste. Alla lunga chi non pensa per sempre vince, se non altro perché ha il supporto della maggioranza, di quella che chiamano società. Prendi, usa e via. E' nell'istinto dell'uomo mordere la mela e gettare il torsolo. Ma per sempre non è solo istinto. E' cuore e ragione. Una passione razionale, un'idea che è incisa nella mente di pochi, che negli altri resta solo inconscia. Forse una maledizione. Chi ha la coscienza del per sempre è più portato all'infelicità: sa che le sue aspirazioni resteranno irrealizzate, sa che la sua meta sarà sempre un passo più in là. Eppure, sa di non potere rinunciare, sa che bisogna continuare a lottare per costruire quella torre di Babele, che prima o poi gli farà raggiungere il cielo. Poco importa che non lo raggiungerà mai: l'importante non è il bersaglio, l'importante è il percorso.

Nel "De rerum natura", Lucrezio per spiegare l'idea di infinito dice che c'è un arciere che,
postosi ai confini dei mondo, scaglia una freccia: il dardo prosegue la corsa verso l'infinito. Potrà sbattere contro qualche roccia, contro qualche montagna. Ma a quel punto l'arciere potrà sempre scagliare una nuova freccia verso l'infinito. E' così che la freccia corre. Ma soprattutto, e questo Lucrezio non lo dice, è così che l'arciere agisce: quando la freccia si ferma, magari si rompe, prende una nuova freccia, carica l'arco e tira. Per sempre. E l'infinito non è tanto quello che non si raggiunge, ma la ripetizione del gesto, il rito che ogni giorno l'arciere compie per amore del tiro con l'arco. Cosa importa il resto? Cosa importa se il tiro non ha bersaglio definito? L'arciere cerca di mantenere sempre teso l'arco, non si lascia andare. Può darsi che il tempo tenda ad allentare la corda, ma un buon arciere cambia freccia, non l'arco.

Così chi pensa per sempre, ed io non riesco a non pensarci. Quando scrivo, quando respiro, quando sto solo, quando sto con una persona, quello è solo un momento, ma è un momento del per sempre, e solo per questo ha importanza. Quando nella realtà il momento finisce, quando poso la penna, quando esco di casa, quando quella persona se ne va, allora per sempre si fa più prepotente: avrei potuto scrivere qualcosa di meglio, qualcosa che rimanesse per sempre; avrei potuto stare un po' più da solo a riflettere invece di perdermi nel traffico; avrei potuto... il per sempre si scontra col condizionale. Per questo si ha paura del per sempre. Felicità rara, amaro in bocca però con qualche sorriso. Bisogna avere il coraggio di insistere, insistere e attendere. Due verbi sempre più sconosciuti. Insistere significa stare dentro, quasi il contrario di divertirsi, che significa uscire dal centro. Attendere significa tendere verso (tendere... l'arco). Servono pazienza ed esercizio. Serve lentezza. E se l'attesa non pagasse? E se alla fine ci fosse solo uno sbaglio? Allora occorre anche coraggio.

Ecco le doti dell'arciere: insistenza, attesa e coraggio. Insistenza nell'esercizio, attesa del momento giusto (l'arciere non è contro il cogli l'attimo, ma cerca l'attimo giusto), coraggio di sbagliare o di rischiare un tiro verso il niente. Ora, tutto questo va contro la logica comune. Ma non importa. L'arciere vive fuori dal tempo, in una dimensione infinita. Finché il tempo non lo fregherà. Ma solo esattamente nel momento in cui il tempo avrà cessato finalmente di esistere.
Per sempre.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Cazzo complimenti è proprio quello di cui avevo bisogno in questo periodo. almeno ora mi sento un pochino meno solo tra la superficialità dilagante. è bello vedere che ci sono persone a cui piace ancora fermarsie a pensare, anche se è sempre più raro, amico mio spero proprio che un giorno riuscirò a scrivere qualcosa che meriti di essere pubblicato su questo blog. ciao a presto

Anonimo ha detto...

Niente è per sempre (era forse lo slogan di Salvini?) Niente fuorchè l'Amore sublime. Quello in cui le anime si ri-conoscono. Quello che più si avvicina all'idea iperuranica, quello che se lo incontriamo in questa vita capiamo di averlo incontrato anche in quelle passate. L'Amore di cui gli idealisti parlano a gran voce, e di cui i cinici non osano più parlarne nemmeno sottovoce...ma ne conservano il sogno, dentro di loro.

Unknown ha detto...

La freccia di Lucrezio

Lucrezio nel “De rerum natura” scriveva:

Tutto ciò che esiste in nessun modo è limitato,
diversamente avrebbe dovuto avere un estremo;
ma è chiaro che non ci può essere nessun estremo
di nessun oggetto se non c’è al di là qualcosa che lo limiti,
sì che appaia un punto oltre al quale non può andare la natura dei sensi.
Ma poiché si deve ammettere che non c’è niente oltre l’insieme del tutto,
esso non ha un estremo e dunque non ha misura e confine.
Non importa in quale parte di esso tu stai;
sempre in qualunque luogo stia qualunque persona,
da ogni lato si lascia sempre un tutto infinito.
Inoltre, se si considera tutto lo spazio
come finito, e qualcuno arrivasse alle ultime
sponde di esso, e di là scagliasse una freccia,
pensi che essa, tirata a tutta forza, arrivi là dove
è stata mandata e voli a lungo più oltre,
oppure che qualcosa possa frapporsi e impedirle il volo?
È necessario assumere una di queste due
opinioni, ma entrambe chiudono ogni via di scampo,
e obbligano a riconoscere che l’universo si estende senza confine.

ORA
Kelvin credeva che gli atomi fossero vortici di una sostanza chiamata etere.
Supponiamo ora che questa sostanza non sia infinita ma che esista come una nuvola sospesa e circondata dal vuoto cosmico (il vuoto cosmico è l'assenza di etere).
Se consideriamo l'Universo come lo spazio in cui si trovano tutti gli oggetti costituiti da atomi, non possiamo più considerarlo come infinito, secondo questa ipotesi, avrebbe una dimensione definita.
Cosa accadrebbe se l’arciere di Lucrezio lanciasse la sua freccia in questo Universo?
La freccia sarebbe fatta da atomi-vortice.
La natura dei vortici è di assorbire la sostanza che li circonda, elaborarla e quindi rilasciarla.
Gli atomi che compongono la freccia quando si avvicinano ai confini dello spazio, non trovando più la sostanza della quale si nutrono si disintegrerebbero, la sostanza di cui sono composti tornerebbe a fare parte della nuvola d’etere.

Nel vuoto cosmico, gli atomi non trovando la sostanza di cui sono fatti e di cui si nutrono non possono più esistere, quindi non c'è luce, radiazioni, calore, tempo, gravità.
Il vuoto cosmico è l'assenza di spazio e nulla può esistere in esso.
La freccia di Lucrezio si dissiperebbe arrivando ai confini dell’Universo e la sostanza di cui è composta tornerebbe a fare parte della nuvola d’etere.